Sono stata alla Villa Reale di Monza a visitare la mostra dedicata alla fotografa Vivian Maier “Unseen”. Questa doveva concludersi a fine gennaio ma è stata prorogata sino al 21 aprile. L’allestimento si trova al terzo piano della Reggia, nella zona Belvedere.
Si tratta della più grande retrospettiva dedicata alla fotografa statunitense; una composizione di 200 scatti con tracce audio inedite.








Ricordo ancora quando incontrai per la prima volta un suo scatto. Stavo seguendo il corso di comunicazione visiva all’università, e quella precisa lezione era dedicata all’Autoritratto. Maier riusciva a trovare le soluzioni più creative per localizzare la propria presenza nel luogo in cui si trovava. Dei giochi di riflessi realmente avanguardistici; pensate all’uso del selfie contemporaneo.





Chi è Vivian Maier?
Vivian Dorothy Maier nacque a New York nel 1926, da madre francese e padre austriaco emigrato negli States. Fece l’istitutrice per la maggior parte della sua vita, vivendo presso le famiglie dei bambini a cui badava. La passione della fotografia si sviluppò in Vivian fin da giovane grazie a un’amica della madre, fotografa di professione. Ogni volta che Vivian Maier si spostava in una nuova famiglia per lavoro, portava con sé scatoloni di negativi.




Vivian Maier scattava nei suoi momenti liberi, sempre e ovunque andasse. Rinomata fotografa urbana e grande esponente della fotografia di strada; un genere parigino iniziato da Eugène Atget.
La fotografa trovava per la strada i suoi protagonisti; da New York a Chicago, faceva lunghe passeggiate nei quartieri popolari immortalando sconosciuti inconsapevoli.







Si perdeva nei dettagli, fotografando da molto vicino.




Rendeva l’ordinario straordinario. Immortalava la gente ai margini, chi spera si realizzi il proprio American Dream


Ed eternizzava le donne, la loro bellezza ed eleganza.




La signature di Vivian Maier si scorge nei suoi scatti di spalle. Mani che si intrecciano, che tengono cose, che si stringono.



A partire dagli anni ‘60 Vivian viene catturata dalla ricerca del movimento, ispirata dal mondo del cinema. Cercava di dare continuità ai propri scatti realizzando fotogrammi simultanei e sovrapposti, con la sua Rolleiflex. Realizzò lungo il lago Michigan 12 fotogrammi pionieristici, costruendo un ponte tra le due arti.



La popolarità di Vivian Maier è postuma alla sua morte. Risale al 2007 quando un giovane, figlio di rigattiere, acquistò all’asta un box contenente oggetti vari sulla città di Chicago, a lui utili per la conduzione di una ricerca sulla città. Il ragazzo sviluppò alcuni negativi che trovo all’interno e li pubblicò su Flickr. Il successo degli scatti ottenuto sulla piattaforma lo spinsero ad approfondire maggiormente la vita della fotografa (che fortunatamente aveva fatto di se molti autoritratti).
Il giovane Maloof si fece così divulgatore delle sue opere fotografiche, organizzando mostre in tutto il mondo.
Mi preme sottolineare l’accuratezza posta nell’allestimento. Il percorso si dispiega in sale tematiche, per periodo di sperimentazione personale dell’artista. Disseminate qua e là troverete delle panchine di ferro che, con il sottofondo musicale di pezzi come Sunday in New York di Bobby Darin, You’d be so nice to come home to di Chet Baker, If I had you di Benny Goodman, Autumn in New York di Billie Holiday… vi porteranno a vivere proprio quelle strade americane colme di voci, suoni e gente, cui Vivian Maier era spettatrice.
Vi auguro una Buona visita e vi aspetto alla prossima recensione…