Le posso offrire un altro caffè?

Risplende il sole oggi in quel di Bergamo!

Il fatto che sia Pasquetta non mi ha affatto scoraggiata a svegliarmi alle ore 7:31. In realtà non sono una dormigliona, mi bastano quelle sette/sette ore e mezza per sentirmi riposata e scattante, pronta per iniziare una nuova giornata. Devo dire che il rintocco delle campane delle ore sette in punto, di una vecchia chiesetta che si trova nella mia via, a meno di 200 metri da dove abito, non agevola il sonno fino a tarda mattinata…

Mi alzo dal letto e sulle note di “A Say a Little Prayer” preparo canticchiando e ballando la colazione. Frutta fresca, yogurt greco, cioccolato rigorosamente fondente – sotto il 90% non si può definire cioccolato secondo la mia religione – e del tè verde alla vaniglia.

In giornate come questa il mio maggior desiderio è quello di uscire nell’immediato e godermi il tepore dei raggi di sole mentre svolgo la mia attività preferita: professione flâneuse.

Dopo due ore dal risveglio mi trovavo sul Colle San Vigilio.

Un altro mio “piacere colpevole” è quello di appostarmi e sbirciare all’interno di bar, caffetterie e pasticcerie. Il battito del braccio porta filtro sul cassetto, il tintinnio della porcellana, l’aroma del caffè, il profumo dei croissant…  l’appoggio sul vassoio e tutto è pronto per la partenza. Trovo questa danza estremamente affascinante.

Arrivata sul Colle esplose in me un forte desiderio di caffè, ed eccomi così accomodata al Belvedere. Mi sono sistemata sotto un pergolato di glicine, rivolta verso l’apertura della veduta. La mancanza di foschia faceva scorgere in lontananza Milano e le sue iconiche torri.

Trovo che “Belvedere” sia un nome super azzeccato per questo posticino nascosto, a ridosso delle mura. Se avessi un’attività di questo genere sceglierei sicuramente un nome classico, elegante, vagamente romantico e un po’ d’antan: l’Incontro, l’Appuntamento, la Rosa, il Crepuscolo, Lillà, Penombra, Oria… mi fermo, sto vaneggiando. Rigorosamente seguito da una scritta corsiva “da Micol”.

Al Belvedere ho avuto il primo scambio sociale della giornata: il signor Luca, il ciclista.

Era seduto al tavolino a fianco e nell’arco di cinque minuti dal mio arrivo, stavamo sorseggiando il nostro caffè scambiandoci battute. Erano le nove e trenta e il signor Luca, sessant’anni circa, pare avesse circumnavigato tutta la provincia sulla sua bicicletta, a suo dire. Tutina attillata nera e giallo fluorescente portata con grande orgoglio, occhiali sportivi, marsupio in tinta, bandana a coprire la testa calva, e la sua Cervélo posteggiata là dove potesse tenerla sotto supervisione.

In un’alternanza tra italiano e dialetto bergamasco, semi sdraiato sulla seggiola rossa, con le gambe distese incrociate e la testa rivolta verso il cielo alla ricerca del sole, mi ha condiviso la prima massima della giornata: “Signorina, quando sono in sella alla mia bici sono l’uomo più felice della terra, ma non è per i chilometri  fatti che mi sentirò compiuto. Bisogna fermarsi, fare e superare tutte le tappe; non vorrà cadermi proprio in fase di discesa?! Le posso offrire un altro caffè?”.

 

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