Mostra Felice Carena – Gallerie d’Italia, Milano

Felice Carena – Gallerie d’Italia, Milano

Visitabile fino al 29 settembre la mostra dedicata al pittore torinese Felice Carena (1879 – 1966).

Un excursus della sua carriera artistica ubicato nelle suggestive Gallerie d’Italia di Milano, in Piazza della Scala nel complesso architettonico formato da Palazzo Beltrami – sede dell’ex Banca Commerciale Italiana -, Palazzo Anguissola Antona Traversi  e  Palazzo Brentani.

Questa mostra segue idealmente l’ultima antologica complessiva dedicata all’artista realizzata a Venezia nel 2010, in un’opera di valorizzazione dell’artista della prima metà del XX secolo, non giustamente considerato.

Il percorso si dispiega in sei sezioni espositive, ognuna dedicata a un periodo specifico della vita dell’artista.

Tra Torino e Roma

Felice Carena nasce a Torino nel 1879 e studia al ginnasio e all’Accademia Albertina, apprendendo disegno e pittura da Giacomo Grosso e Lorenzo Delleani. Influenzato inizialmente dal realismo, intorno al 1902, in occasione dell’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna, si avvicina al preraffaellismo e al simbolismo, interagendo con artisti come Whistler e Segantini e incontrando poeti e intellettuali del suo tempo. La sua opera riflette una forte umanità, come evidente in quadri come la Signorina (1901) e il Ritratto (1904), dove simboli come la sveglia e la candela esprimono la brevità della vita. Nel marzo 1906, dopo aver vinto il concorso per il Pensionato Artistico Nazionale, si trasferisce a Roma, segnando la conclusione della sua fase torinese.

Gli inizi del periodo romano

Nel periodo 1908-1909, Carena realizza a Roma il dipinto “I viandanti,” di cui crea una versione quasi identica attualmente conservata nel Palazzo Ducale di Mantova. Durante questo tempo frequenta Giovanni Cena impegnato nell’insegnamento della lettura e scrittura ai contadini analfabeti della campagna romana, e ispirato dal suo socialismo umanitario. Carena ricorda il suo lavoro su “I viandanti“: un tema che gli sta molto a cuore e che si ricollega ai contadini di Millet, rappresentati come santi ed eroi, con un tocco di misticismo.

Nella scena immersa nell’oscurità e nella scomposizione delle forme, si percepisce, come in altre opere della stessa epoca — come “Ritratto della baronessa Ferrero” del 1910 e “Il nastro azzurro” del 1911 — l’influsso di Eugène Carrière. Tuttavia, l’opera non riesce a convincere completamente Maksim Gorkij, amico di Cena, che la critica affermando che i poveri rappresentati non sono “abbastanza poveri”. Nel 1913, Carena partecipa alla fondazione della Secessione Romana, allontanandosi dal simbolismo e avvicinandosi invece alla vivace palette di colori di Gauguin e Matisse.

Fra Roma e Firenze. Nuove aperture espressive

Negli anni Dieci del Novecento, diverse correnti artistiche e letterarie emergono in Europa, sperimentando nuove forme espressive in risposta all’evoluzione scientifica, industriale e politica. Movimenti d’avanguardia come cubismo, futurismo e astrattismo si distaccano dalle tradizioni precedenti di verismo e realismo. Tuttavia, il pittore Felice Carena, attivo a Roma, si allontana da queste innovazioni, perseguendo un’arte che valorizza la continuità visiva della natura. Con un profondo rispetto per l’arte classica, Carena cerca di catturare la luce e la bellezza delle forme attraverso la pittura di soggetti quotidiani, come ritratti e nature morte, infondendoli di intensa emozione cromatica. Le sue opere non sono originali o fantastiche, ma si ispirano a scene bibliche e pastorali, evocando sensazioni di meraviglia. L’artista lavora il colore con passione e movimento, rendendo la materia viva e dinamica, modellando continuamente le forme e i colori per creare un’esperienza visiva intensa e narrativa.

Dall’autoritratto del 1904 alle opere della maturità

Nel giro di venti anni, Felice Carena ha evoluto la sua pittura, passando da uno stile simbolista, caratterizzato da un uso di colori leggeri e forme sfumate, a opere più solide e definite come “Quiete” e “La scuola“. Nonostante il cambiamento di stile, un elemento comune permea le sue opere: la ricerca di una luce interna agli oggetti. Questa luce, invece di essere superficiale, emerge dall’interno, diventando essa stessa forma. Carena, ispirato anche dal filosofo Friedrich Schelling, trova nella pittura il mezzo ideale per esprimere una potenza artistica che trasforma l’infinito in finito e conferisce vita alla materia.

Teatro Popolare

Il teatro popolare è un soggetto caro a Carena, che nei suoi dipinti ribalta il rapporto tra scena e spettatori, rappresentando i popolani come attori. Nel dipinto del 1933, gli spettatori partecipano attivamente con gesti e mimica, mentre in quello del 1954 l’animazione scompare, lasciando spazio a figure più dense e sommarie, simbolo del disastro post-bellico. Qui, la pennellata densa sostiene le figure in un’atmosfera di pesante desolazione, riflettendo la mancanza di speranza per gli umili, e includendo il pittore stesso tra gli astanti.

Teatro popolare, 1933 - Felice Carena
Teatro popolare, 1933

La crisi della pittura. Il ritratto e le nature morte

Il percorso artistico di Carena durante gli anni di guerra riflette il tumulto emotivo e sociale dell’epoca. Le sue esperienze personali, tra cui la guerra, hanno influenzato profondamente il suo stile. A partire dagli anni Trenta, Carena ha iniziato a distaccarsi dalle forme classiche, cercando nuove modalità espressive. Con l’inizio del conflitto bellico, questo processo si intensifica, portandolo a un linguaggio visivo più astratto e libero, caratterizzato da colori intensi e segni incisivi che incarnano il caos del periodo. La guerra non è solo un contesto storico, ma un fattore che catalizza la sua trasformazione artistica, spingendolo verso una ricerca interiore e la reinvenzione della sua pratica. I suoi lavori risultano quindi carichi di emozione, invitando lo spettatore a riflettere sulla complessità dell’esistenza umana.

La pittura sacra e i disegni

La religiosità di Carena si esprime attraverso un’intensa qualità poetica e pittorica, culminando nella Deposizione del 1938-1939, un capolavoro che rinnova la rappresentazione della Passione di Cristo, distaccandosi dal classicismo. Nelle versioni successive, il dramma e la deformazione dei corpi diventano predominanti, con un’ulteriore semplificazione nella Deposizione del 1963. Negli episodi d’azione, la narrazione è guidata da colori e gestualità accentuata, mentre le figure bibliche appaiono svuotate e tormentate. Anche i disegni finali riflettono un tratto espressivo e vitale, rompendo con una rapida esecuzione che evidenzia l’enfasi narrativa. L’immaginario di Carena si arricchisce di tematiche mitologiche, bibliche e letterarie, rivelando un profondo misticismo e una connessione intima con la sua ultima pittura.

Di seguito un catalogo illustrato delle opere di Felice Carena

Mostra Felice Carena, Gallerie d'Italia, Milano

Vi auguro una Buona visita e vi aspetto alla prossima recensione

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